lunedì 10 novembre 2014

UN RITRATTO DELLA MEMORIA

ROBERTO BURANO, Vincenzo Calò, Scorpione Editrice, Taranto 2014, pp. 248. 



Nella collana "Saggi di Cultura Jonica", diretta da Paolo De Stefano e da Lucio Pierri per Scorpione Editrice di Taranto, è stato pubblicato il saggio su Vincenzo Calò (17 novembre 1861 - 28 agosto 1933).

L'impaginazione e la grafica del testo sono state curate da Antonio Caramia.

Vincenzo Calò, "clinico insigne [e] apostolo di bene", imprenditore illuminato, politico benefico, è protagonista in una Grottaglie agricola e artigianale, dove assume la presidenza del consiglio di amministrazione della scuola di ceramica, che, dopo la sua morte, sarà intitolata a lui.
Dà vita alla "Manifattura Calò", la più grande e moderna fabbrica di ceramica, assecondando la vocazione del figlio Cosimo.  Medico condotto nella città delle ceramiche, viene onorato per le sue qualità professionali da parte del consiglio comunale del 12 giugno 1922 con un voto di plauso e con un encomio solenne e, nella seduta del 17 ottobre 1922, con il conferimento di una medaglia d'oro. 
Impegnato politicamente nell'"Associazione Progressista" e poi nella "Pro Taranto", sostiene l'elezione alla Camera dei deputati dell'on. Alfonso Pignatelli e, dopo il ritiro di quest'ultimo, dell'on. Federico Di Palma. E' componente della commissione reale provinciale, consigliere di amministrazione dell'Ente autonomo acquedotto pugliese e del Consorzio provinciale antitubercolare.


INDICE
¢ ATTESTAZIONI
L’identità, la vitalità e l’anima di una comunità (Alberto Sobrero)
Una figura luminosa nella storia della nostra città (Ciro Alabrese)
Per la città della bellezza e della ceramica (Brigida Sforza)
Il valore di una testimonianza (Eligio Grimaldi)
¢ PREFAZIONE 
Un ritratto della memoria (Guglielmo Matichecchia)
¢ INTRODUZIONE
Perché una biografia (Roberto Burano)
¢ Il sogno della vita (Roberto Burano)
¢ POSTFAZIONE
Medicina, impegno civile e arte ceramica nella vita di Calò (Rosario Quaranta)
¢ APPENDICI (Roberto Burano con la collaborazione di Guglielmo Matichecchia)
I - Anima di Artista…
II - Indimenticabile benefattore di Grottaglie…
III - Tra medicina, famiglia e fede
IV - Per la morte di Vincenzo Calò
¢ INDICE ANALITICO  (a cura di Giusy Ettorre)
¢ INDICE DELLE TAVOLE (a cura di Giusy Ettorre)
¢ BIBLIOGRAFIA


PREFAZIONE

«Chi vede un fiume guarda il verso in cui scorre, 
 dove scende secondo la corrente. 
 Ma il futuro di un fiume è alla sorgente».
(Erri De Luca, E disse, 2011)



  Roberto Burano propone, tra le tante personalità che hanno onorato la città di Grottaglie, il ritratto di Vincenzo Calò, medico per antonomasia per tutti i grottagliesi del tempo e antesignano nella ricerca di più salubri tecniche e materiali da utilizzare nella lavorazione della ceramica.
   La vita di Calò viene proposta dall’Autore per una molteplicità di ragioni, occasionali e nello stesso tempo remote, da considerare nel loro insieme: la cortese sollecitazione del regista Alfredo Traversa, la vivida memoria dell’infanzia vissuta nel riconoscente ricordo proposto in famiglia del benefico medico, il ricordo di un piatto di ceramica plasmato nella propria anima. 
   C’è in Burano il sentimento profondo della grottagliesità, l’amore per la terra natia, per il suo «così dolce ostello» (Paradiso, XV, 132), per la comunità dove sono profonde le sue radici, dove c’è il «così bello viver di cittadini», dove è dovere morale e civile l’impegno a costruire una città migliore, dove i rapporti si fondano su un’umanità autentica che conserva il rispetto della parola e di una stretta di mano, dove la cittadinanza - senza campanilismi - è partecipazione, incontro, inclusione, ricerca dell’unità nella diversità, dove la cultura non è acritica e scostante erudizione, ma un bene primario per promuovere la qualità della vita di ciascuno e di tutti.
   Nella Grottaglie del 1933, in un afoso sabato di agosto, dedicato al "rito" della pietosa Santa Monica, il dott. Vincenzo Calò, il medico per eccellenza del Paese, vive l’antivigilia della sua morte. 

   Vincenzo Calò nasce nel 1861 in un’Italia risorgimentale che, tra la seconda e terza guerra d’indipendenza, ha appena proclamato la sua unità. È l’anno in cui viene introdotta la lira che nel 2002 sarà sostituita dall’euro, in cui nasce Italo Svevo e scompaiono Ippolito Nievo e Camillo Benso Conte di Cavour, in cui Abraham Lincoln viene eletto presidente degli Stati Uniti d’America. 
   Calò nasce la domenica del 17 novembre nella piccola Grottaglie, il cui circondario comprende i comuni di Monteiasi e di Montemesola; la cittadina della provincia di Terra d’Otranto conta poco più di 8.000 abitanti, ha alle sue spalle la non dimenticata «figura complessa e affascinante di D. Ciro Annicchiarico, il mitico Papa Giru», è divisa tra chi si si schiera con le nuove istanze politiche, di chiara impronta liberale e filopiemontese, e chi, in maggioranza, sente ancora l’appartenenza al vecchio regime borbonico e la devota fedeltà alla maggior parte del clero legato al potere temporale dello Stato Pontificio. Proprio, nel giorno del primo compleanno di Vincenzo, il brigante Cosimo Mazzeo, il Pizzichicchio, con la sua banda fa irruzione in Grottaglie al grido di "Viva Francesco II", depredando e compiendo qualche vendetta.

  Calò muore nel 1933 in un’Italia fascista, che ha consumato il delitto Matteotti e ha visto la scelta dell’Aventino da parte di parlamentari e partiti antifascisti. Hitler, dopo 10 anni dal fallito putsch del 1923, è cancelliere e l’anno dopo si attribuirà il titolo di Führer. Nel 1925 sono pubblicati prima il manifesto degli intellettuali fascisti firmato da Giovanni Gentile e, tra gli altri, da D’Annunzio, Salvatore Di Giacomo, Curzio Malaparte, Filippo Tommaso Marinetti, Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti e poi il manifesto degli intellettuali antifascisti, firmato da Benedetto Croce, da Giovanni Amendola e, tra gli altri, da Luigi Albertini, Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Piero Calamandrei, Luigi Einaudi, Giustino Fortunato, Arturo Carlo Jemolo, Attilio Momigliano, Eugenio Montale, Gaetano Salvemini e Matilde Serao. Franklin Delano Roosevel è eletto presidente degli Stati Uniti nell’anno peggiore della grande depressione, Stalin è il segretario generale del PCUS nell’URSS, Alfredo Binda e Primo Carnera esaltano l’orgoglio nazionale vincendo, il primo, il XXI giro d’Italia e, il secondo, il titolo mondiale dei pesi massimi al Madison Square Garden di New York. 
  Calò muore il lunedì del 28 agosto nella sua Grottaglie, una cittadina che fa parte della provincia di Taranto, istituita 10 anni prima, conta poco più di 15.000 abitanti, è passata dal lume a petrolio del 1861 alla luce elettrica nelle abitazioni e piange ancora i suoi 225 caduti non ritornati dal fronte della prima guerra mondiale. La cosiddetta "scuola pittorica grottagliese" vive un momento di particolare splendore artistico con Gennaro Lupo (1887-1946), Francesco Paolo D’Amicis (1889-1965), Ciro Fanigliulo (1881-1969). C’è una larga adesione al fascismo che vede in Vincenzo Calò uno dei più importanti rappresentanti insieme a Nicola Motolese-Telesio (1886-1955) e a don Giuseppe Petraroli (1874-1953) con un’opposizione che vede in Salvatore Perduno (1892-1964) il più fiero rappresentante insieme a Vincenzo Bartolomeo D’Addario (1896-1987) e a Ciro Fanigliulo che, con le sue idee socialiste, ha rifiutato l’adesione al regime che, proprio nel giugno del 1933, richiede la tessera del Pnf come requisito essenziale per poter lavorare nell’amministrazione pubblica. 

   Calò è "il" medico della Grottaglie agricola e patriarcale tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, esercitando la professione medica, al di là delle sue qualità personali, secondo l’indiscusso modello ippocratico, per il quale il paziente riconosce l’assoluta e sacrale competenza del curante, cui si concede la piena fiducia, la filiale devozione e, nella fattispecie, un transitivo consenso politico per il partito a cui il Calò appartiene, dove e per il quale ricopre molteplici incarichi di rilevante responsabilità. In questa temperie sociale e culturale, a proposito della professione del Calò, si parla di taumaturgia, nonché di apostolato, sia da parte dell’osannante opinione popolare, sia da parte del consiglio comunale che, in due diverse sedute, apprezza l’opera del medico, al quale ufficialmente conferisce una medaglia d’oro (donata nel 1936[1] dalla moglie allo Stato in occasione della campagna dell’“Oro alla Patria”, promossa dal Fascismo a seguito delle sanzioni, decise dalla Società delle Nazioni nei riguardi dell’Italia, condannata per la guerra coloniale di Etiopia) e "un solenne voto di plauso".

  Vincenzo Calò ha sempre accanto sua moglie Checchina, nata Parabita, fattivamente presente nella vita sociale di Grottaglie[2] per tenere alto il buon nome del coniuge e della famiglia. È una donna che sa meritare rispetto e stima nella comunità locale, nonostante i tempi in cui le donne sono escluse dalla vita politica e hanno diritto all’elettorato attivo e passivo solo nei consigli di amministrazione delle istituzioni di beneficienza[3]

   Burano si propone di scrivere - parafrasando Plutarco nel famoso inizio della Vita di Alessandro - non la mera storia (ίστορία), ma la vita (βίος) di Calò, non come una pura e semplice epitomazione di testi preesistenti, ma privilegiando, attraverso una ricerca particolarmente originale, i momenti significativi e "i segni dell’anima" per dare rilievo, senza intenti meramente encomiastici, alla figura del medico grottagliese, che lascia un’incancellabile traccia nella Grottaglie del tempo.

  Non si tratta di un’agiografia per santificare ed esaltare miticamente e misticamente il Calò, né di un panegirico con cui esaltare i meriti di questi con lodi esagerate e con un tono ampolloso. Certamente i discorsi celebrativi pronunziati ai funerali di Vincenzo Calò riflettono, al di là dei suoi meriti, il clima culturale del tempo. Basterà, a tal proposito, rileggere gli interventi solenni di Gaetano Orlando, podestà di Grottaglie, di Giuseppe Turi, preside dell’Amministrazione provinciale di Taranto, di don Giuseppe Petraroli e di Milziade Magnini, segretario federale del P.N.F. per la provincia jonica, improntati ai meriti di Vincenzo Calò e, nello stesso tempo, alla retorica fascista che incentiva il sentimento e l’amor patrio con l’eroica figura del buon italiano che sa imporsi, per requisiti di forza, intelligenza e carattere, all’ammirata attenzione popolare.

  Scrivere una biografia  significa superare gli eccessi di uno storicismo di impronta idealista o marxista, che pone l’attenzione ai grandi processi più che agli agenti storici, agli uomini e alle loro motivazioni. Burano propone la biografia di Vincenzo Calò con la consapevolezza della scelta di un genere letterario che, con un pizzico di fantasia, recupera l’immagine del medico grottagliese, con una ricerca, una selezione di materiali all’interno di una più vasta documentazione, con una riflessione sul contesto del tempo, in una sintesi suggestiva anche per la qualità della trama e della scrittura.

  Il rapporto tra il tempo della storia e quello del racconto rivela il ritmo veloce della narrazione che racchiude - nelle due ultime giornate terrene di Calò, dall’afosa mattina di sabato 26 agosto al mattino del lunedì 28 agosto - tutta la vita del medico grottagliese. Nel processo narrativo prescelto, Burano risolve le distanze temporali con l’analessi (ανάληψις) per rendere ordinata la narrazione della vita del Calò nei suoi momenti significativi.
  L’uso dell’analessi è frequente nei testi narrativi sin dall’antichità e già Omero ne offre alcuni esempi, tra i quali è celebre quello in cui Ulisse, nei canti dal IX al XII dell’Odissea, racconta gli avvenimenti che precedono il suo arrivo alla corte dei Feaci; consente l’introduzione, all’interno del racconto, di blocchi narrativi riferiti a eventi trascorsi, utili per dare al lettore informazioni per comprendere lo svolgimento della trama. Anche nella narrazione cinematografica si usa spesso l’analessi con la tecnica del flashback, con cui si interrompe la trama del racconto per inserire uno o più episodi anteriori.
  L’analessi è resa possibile da Burano con il sogno che Omero avrebbe fatto uscire non dalla porta d’avorio da dove escono i sogni fallaci e vani, ma da quella di «polito corno», perché «fuor del trasparente Corno irrompono i veri» (Odissea, libro XIX). Sì, perché attraverso i sogni Burano racconta la verità della vita di Calò, pur accompagnata da una lieve aurea di poesia. «I sogni - diceva Ralph Waldo Emerson - hanno un contenuto di integrità poetica e di verità» e, nella vita di Calò, il nostro Autore sa sapientemente dosare i due contenuti con risultati particolarmente apprezzabili. Alla fine del racconto, Calò non è più quello che era prima e lo stesso Burano è trasformato nel suo incontro con il medico grottagliese. Il sogno consente di mostrare il Calò per quello che è, spogliando il suo io da ogni orpello e da ogni involucro artificiale. 

  La scelta del sogno per raccontare la vita del Calò può avere le sue ragioni anche nella stessa fede che lega diacronicamente il medico grottagliese e Roberto Burano. Nei sogni di chi sta vivendo il passaggio all’eternità, infatti, si ascolta la parola di Dio che «Parla nel sogno, visione notturna, / quando cade il sopore sugli uomini /e si addormentano sul loro giaciglio; / … quando … la sua vita [si avvicina] alla dimora dei morti» (Giobbe, XXXIII, 15,17,22).
Non sono, pertanto, sogni irreali, fuligginosi, ma vividi, veritieri, con cui Burano ricrea e fa rivivere momenti del cammino terreno del Calò. Si tratta di sei sogni, nei quali questi ritrova l’immagine (εἴδωλον) delle persone care che, al di là dei suoi familiari, hanno segnato la sua vita di multiforme ingegno.

 Nel primo sogno - attraverso il quale Burano presenta il Calò medico - c’è l’incontro con Ignazio Carrieri, illustre collega, ma anche letterato e giornalista grottagliese, scomparso il 2 gennaio del 1926, con cui «erano stati acerrimi avversari, tanto da creare in Grottaglie - come racconta Burano - due opposte fazioni: "la cricca" e "la montagna"», con il quale si era rappacificato nella comune riprovazione di una deliberazione del consiglio comunale che stabiliva «una sostanziosa riduzione dei loro stipendi». Nella passeggiata con Carrieri si discute amabilmente e si raggiunge l’abitazione di «Elisabetta D'Amicis, soprannominata "Bbetta la pricamòrta", in quanto figlia del primo necroforo del cimitero di Grottaglie, che era andata loro incontro» esortandoli «ad aumentare l'andatura perché suo padre era già andato al Cimitero e li stava aspettando».

  Nel secondo sogno - nel quale viene presentato il Calò nella sua vita di credente - c’è l’incontro con il p. barnabita Giovanni Semerìa, «suo tenero amico», oratore e scrittore di chiara fama, fondatore dell’Opera nazionale per il Mezzogiorno (per gli orfani), considerato "Servo di Dio" dalla Chiesa, scomparso qualche anno prima, precisamente nel 15 marzo del 1931. Di p. Semerìa l’enciclopedia Treccani traccia un breve e significativo profilo e Carlo Bo scrive, in un articolo su "Il Corriere della sera" del 28 luglio 1967, che «potrebbe essere tenuto come un esempio, se la memoria degli uomini non fosse fatta di vento e di polvere». Padre Semerìa conosce Grottaglie e conosce Vincenzo Calò, al quale, nell’abbandono onirico, si presenta per consolarlo, stringerlo tra le sue braccia e benedirlo.

  Nel terzo sogno - nel quale si coglie la profonda devozione per San Francesco de Geronimo, l’amato Santo grottagliese - appare il volto del gesuita Felice Tanzarella con il quale Calò si era adoperato per un ritorno della Compagnia di Gesù nella cittadina dei figuli, da dove erano stati allontanati, e con il quale condivide la venerazione per Francesco de Geronimo, le cui reliquie saranno traslate nel 1946 nel santuario iniziato a costruire nel 1830. Insieme a p. Felice Tanzarella, Calò rivede i volti del canonico don Vincenzo Verga, del canonico don Pasquale Marinaro, del fratello Giuseppe Lenti, sagrestano della chiesa di San Francesco de Geronimo, di don Vito Nicola Mummolo e della sua giovane moglie, donna Beatrice Traversa, «persone a lui care che si erano tutte impegnate per il mantenimento e la diffusione del culto del santo».

  Nel quarto sogno - nel quale si presenta il Calò della vita civile, del cittadino appartenente alla facoltosa borghesia locale, dalle doti di innovatore come imprenditore, costruttore, politico, soprattutto grottagliese profondamente innamorato della sua comunità. Il morente rivede la fabbrica di ceramiche "Manifattura Calò", nata «dal suo amore per l'argilla e dalla volontà di favorire la passione giovanile del figlio per la ceramica», costruita «in un’area retrostante la sua prestigiosa villa "Labor", in grandi locali pieni di luce e di aria, completamente diversi dalle altre botteghe grottagliesi ove si lavorava l'argilla», con «una grandissima sala che aveva adibito ad esposizione permanente». Qui incontra «il suo fidato torniante, il maestro ceramista Oronzo Mastro intento al suo lavoro» e vede il parlamentare grottagliese Federico Di Palma, considerato un figlio adottivo, a cui «era stato sempre vicino e lo aveva sostenuto anche economicamente» e per il quale, in campagna elettorale, aveva organizzato un «sontuoso banchetto» con i notabili di Grottaglie e della vicina Taranto, tra i quali l’on. Nicola Lo Re, l’archeologo Luigi Viola (protagonista del romanzo Pater di Cesare Giulio Viola), il rag. Luigi Candida De Matteo, il farmacista Ciro Ragusa, l’avv. Pietro Pupino Carbonelli, il prof. Nicola D’Ammacco. 

  Nel quinto sogno - nel quale si coniuga in Calò l’amore per l’arte e la scienza - incontra il p. cappuccino Francesco Rosati, esperto in ceramica, fisica e meccanica, uomo di grande ingegno che «ideò, costruì - come ricorda Silvano Trevisani in Grottaglie. Uomini illustri, di cui è coautore con Rosario Quaranta - il primo mulino a ruote dentate per macinare l’argilla». Calò e p. Rosati parlano della "Manifattura Calò", di nuove macchine e di nuovi progetti insieme ai tre fratelli del religioso, Lorenzo, Ciro e Giuseppe, «figuli di grande valore». Qui c’è il ritratto del Calò particolarmente attento alle innovazioni, ai progressi della tecnica, al passaggio dalla lavorazione meramente manuale a quella meccanizzata.

  Nell’ultimo e brevissimo sogno c’è l’incontro con i genitori Francesco e Carmela, che si avvicinano al suo letto per accarezzare dolcemente il figlio, che si preparano ad accogliere nell’abbraccio dell’eternità. Un incontro - per Roberto Burano - con cui Vincenzino, come lo chiamavano i genitori, ritorna all’origine della sua vita, per un nuovo parto, per rinascere insieme a loro. 

  Attraverso i sogni, Calò rivisita momenti topici del proprio cammino. Sogni e vita come dimensioni esistenziali, perché senza sogno il sonno sarebbe solo un pallido riflesso di morte, come pagine di uno stesso libro - secondo Schopenhauer - da leggere e sfogliare e che Roberto Burano ripresenta attraverso una curata edizione biografica, avendo il singolare merito di usare le parole come pennellate per dipingere un bel ritratto, dove si può apprezzare, in primo piano, la figura di Vincenzo Calò e, sullo sfondo, la Grottaglie e la società del tempo, sapendo coniugare la storia locale in un ambito di storia generale, aprendo un percorso di ricerca e di approfondimento che si spera possa continuare per scrivere e narrare la Storia attraverso le storie, in grado di valorizzare un tempo e un territorio, il cui futuro ha un cuore e una memoria antica. 

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[1] Significativa offerta a Grottaglie, in “Voce del Popolo”, 25 gennaio 1936, anno 53°, n. 4. 
GROTTAGLIE, 21. La nobildonna Checchina Parabita - vedova del gr. uff. dott. Vincenzo Calò - ha dato alla Patria la medaglia offerta dal Comune all’illustre scomparso nel 38. anno di apostolato medico. La famiglia del venerato dott. Calò custodiva gelosamente la magnifica medaglia che ricordava la gratitudine del popolo per il suo sublime benefattore. La gentile e generosa signora ha offerto ancora il medagliere della propria fabbrica di ceramica, diretta dal figliolo rag. cav. Cosimo, Segretario del Fascio di Combattimento. 

[2] Nell’Asilo Infantile di Grottaglie, in “L’Ora Nuova”, 24 giugno 1926, anno VIII, n. 24. 
Si riporta la cronaca dell’elezione di donna Checchina Calò a presidente del Comitato di patronesse dell’asilo infantile delle suore stimmatine: 
Ad invito del benemerito Presidente avv. Samuele Cantore, nei locali dell’Asilo Infantile amorosamente diretto dalle Suore Stimmatine, il 6 giugno convennero tutte le più elette signore di Grottaglie, per studiare ogni mezzo onde migliorare le sorti della benefica istituzione ed aprirne le porte ad un più vasto numero di fanciulli. Seduta stante fu nominato un Comitato di patronesse con obblighi assistenziali e igienico-sanitari. Il Comitato riuscì così formato: sig.ra Paolina Annicchiarico, sig.na prof. Anna Caggiano, sig.ra Checchina Calò, sig.ra Vincenzina Cantore, sig.ra Luisa Cometa, sig.ra Maria Carrieri, sig.ne Lucia e Clara De Rossi, sig.ra Giuseppina Fornari, sig.ra Bice Gemmato, sig.ra Gemma Gemmato, sig.ra Camilla Grottoli, sig.na Ester Lasorte, sig.ne Emilia e Maria Marinaro, sig.na Lina Mastropaolo, sig.ra Motolese Grazia, sig.ra Giovannina Motolese, sig.ra Lucia Motolese, sig.ra Chiarina Orlando, sig.ra Lina Perrucci, sig.ra Giuseppina Scardino, sig.ra Venanzia Tuzzi, sig.ne Lellè e Menuccia Tuzzi. Per incarico avuto dal suddetto Comitato la prof. Anna Caggiano, Direttrice didattica di queste scuole, compilò lo Statuto del Comitato stesso. Detto Statuto fu approvato ad unanimità nella riunione del 17 corrente e si procedè subito all’elezione delle cariche. Il Consiglio Direttivo fu così costituito: Sig.ra Checchina Calò - Presidente / Sig.ra Camilla Grottoli – Vice Pres. / Sig.ra Lina Mastropaolo – Segretaria / Vincenzina Cantore – Cassiera / Sig.ra Chiarina Orlando – Consigliera. Tutte le suddette signore sono già al loro e la cittadinanza segue con simpatia la loro opera da cui tutti si ripromettono vantaggi veri e duraturi per l’infanzia in genere e per quella povera e bisognosa in ispecie. 

Una inaugurazione a Grottaglie, in “La Voce del Popolo”, 8 febbraio 1930, anno 47°, n. 6. 
Si dà rilievo alla partecipazione della sig.ra Checchina, in qualità di madrina, all’apertura del Caffè Centrale in piazza Regina Margherita: 
GROTTAGLIE 4 (Vice). Con imponenza fastosa si svolse in Grottaglie, la sera del 29 u.s., la inaugurazione del nuovo ed elegantissimo Caffè Centrale di proprietà dell’egregio Cav. Filippo Dello Iacovo. Alle ore 18 del detto giorno, ad un tratto la nostra Piazza Regina Margherita viene inondata da un bagliore di luci. Il gran Caffè Centrale apre per la prima volta le sue vetrine e le sue porte ed accoglie eleganti signore, signorine, gentiluomini, professionisti, ufficiali. Il Cav. Dello Iacovo e la sua gentile e distinta signora Donna Maria, ricevono gli invitati con amabile cortesia. Il locale, pieno di signorilità, decorato di specchi ed altri ornamenti, presenta un magnifico colpo d’occhio, una visione di bellezza, un quadro di splendore, di ricchezza, di sfarzo. Esso è reso più suggestivo per effetto della superba illuminazione tecnica. L’impianto relativo è una vera meraviglia, fattura pregevolissima ed artistica del bravissimo elettricista sig. Eligio Formuso. Dopo la funzione del battesimo, la cui madrina è la nobile signora Donna Checchina Calò e padrino il nostro Podestà Cav. Dottor Gaetano Orlando, si stura lo champagne e si inneggia con entusiasmo alle fortune e all’avvenire del nuovo Caffè, mentre una musica armoniosa di piano e di violini avvince i cuori e li commuove. A tutti vengono offerti rinfreschi, paste, liquori a profusione. Giungano da queste colonne al sig. Cav. Dello Iacovo, tutti i nostri rallegramenti e i più fervidi voti augurali. 

Per un battesimo, in “La Voce del Popolo”, 19 aprile 1924, anno 41°, n. 17. 
Si presenta, nella cronaca della provincia, un significativo spaccato della vita sociale della Grottaglie del tempo: 
Nell’ampio e ricco palazzo dei signori Nicola e Bernardino Motolese del fu cav. Ciro, la sera del 10 corr. si è svolta signorilmente la religiosa funzione del battesimo del piccolo Ciro Pasquale Motolese di Nicola. Uno stuolo di eletti invitati assistette con rispettoso silenzio al cerimoniale eseguito dall’Arciprete sac. Quaranta, coadiuvato sal sac. Ciro Raffaele D’Elia. Dopo la cerimonia vi furono distribuite a profusione paste, liquori ed altro tra gli auguri più cordiali alla simpatica coppia signori Nicola e Giovannina Motolese. Si abbia pertanto anche le nostre più vive felicitazioni, improntate alla più sincera cordialità. Intervennero i Commendatori Grandi ufficiali Dott. Calò e Carrieri, l’Avv. Giudice De Mitri, i dottori Giuseppe e Gaetano Orlando, il cav. Ufficiale Pignatelli Francesco, avv. Donato Traversa, avv. Nicola Motolese, l’avv. Domenico Manigrasso, l’avv. Tuzzi, l’avv. cav. Giuseppe Marinaro, il ricevitore del Registro Cavallo Raffaele, il cancelliere Cardiota, il cav. Prof. Peluso, il prof. Carrieri Pompeo, il prof. Francesco Basile, il rag. Calò, il rag. Orlando, l’ing. Casavola Giuseppe, il geom. Michele Delfino, Fornari Cataldo, Umberto Basile, Vittorio Leage, Scardaccione Domenico, il Capo Stazione Spagnuolo Pietro ed il Comandante l’Areoscafo sig. Pappalardo, nonché l’avv. De Rossi, Cantore Giuseppe, Lasorte Nicola, avv. Traversa Raffaele, Pasquale Orlando, Giacomo Polignano ed altri di cui mi sfuggono i nomi. Non mancò la gaia nota del gentil sesso e tra le invitate notammo la signora Pignatelli e signorine Caroli, signore Pappalardo, Gemmato, Polignano, Tuzzi, Grottoli, Spagnuolo, De Mitri Cardiota, Cavallo nata Franco, vedova Lasorte e signorina Ester. Le signorine Gemmato, Caroli, Polignano, Marinaro, Ottano, Tuzzi, Basile, Miale ed altre allietarono la festa con qualche danza e con squisita musica. 

[3] Il diritto al voto viene riconosciuto alle donne sole per le elezioni amministrative con legge 22 novembre 1925, n. 2125 “Ammissione delle donne all’elettorato amministrativo” (Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 dicembre 1925, n. 285). Di fatto il diritto al voto viene negato con la Legge 4 febbraio 1926, n. 237 “Istituzione del Podestà e della Consulta municipale nei comuni con popolazione non eccedente i 5000 abitanti” (Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18 febbraio 1926), che istituisce la figura del podestà di nomina regia nei comuni con meno di 5.000 abitanti, assistito, ove il Prefetto lo ritenga possibile, da una consulta municipale. Subito dopo, con Regio Decreto Legge 3 settembre 1926, n. 1910 “Estensione dell’ordinamento podestarile a tutti i comuni del Regno” (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 novembre 1926, n. 267) la carica podestarile viene estesa a tutti i comuni d’Italia. 

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